Laus Pompeia - L'età romana
Un riutilizzo di anfore: le bonifiche del terreno
Le anfore, esaurita la loro funzione primaria di contenitore da trasporto, venivano ampiamente reimpiegate dai Romani, sia intere che frammentarie, nell’edilizia e nei sistemi di bonifica ambientale.
Gli scavi archeologici hanno messo in luce in tutta Italia e nelle province romane ingegnosi sistemi per bonificare il suolo con l’impiego di anfore collocate in trincee o in fosse. I Romani, infatti, avevano sviluppato una notevole esperienza empirica tanto da essere in grado di valutare la morfologia del terreno e di intervenire adeguatamente per apportare migliorie là dove sorgevano problemi dovuti a una falda freatica alta, all’umidità o a terreni cedevoli.
In relazione alla conformazione geologica del suolo e al suo sfruttamento (per esempio costruire un edificio o una strada), sceglievano sapientemente le anfore più idonee (allungate, cilindriche o globulari) e stabilivano se utilizzarle intere o spezzate, il loro posizionamento (capovolte verticali o coricate, in file singole o sovrapposte) e infine con quale sedimento (permeabile o impermeabile) ricoprire la struttura.
Le finalità delle bonifiche si possono dividere in due gruppi principali: idraulica, per aerare, drenare o per aumentare l’infiltrazione delle acque superficiali; geotecnica, per consolidare, isolare dall’umidità o costituire una base compatta per le fondazioni, in parallelo, talvolta, con il sistema dei pali infissi nel terreno.
Esempi di bonifica con anfore a Lodi Vecchio
Dagli scavi archeologici effettuati in via Papa Giovanni XXIII e nel settore orientale (via Santi Naborre e Felice e via Don Milani) sono emerse ampie aree bonificate dai Romani nel corso del I secolo d.C., con lo scopo di ottenere un adeguato equilibrio idrogeologico in un terreno eccessivamente umido, instabile e con il livello della falda acquifera alto per la vicinanza del fiume Sillaro, all’epoca più prossimo alla città e molto più ricco d’acqua di oggi.
Bonifica idraulica

Scavo 1988-1989, via Papa Giovanni XXIII: le anfore, con imboccature e puntali intenzionalmente rotti, sono affiancate su tre file parallele, sovrapposte e incastrate le une sulle altre su tre livelli, per captare le acque superficiali e direzionarle in un’area di scarico.

Scavo 2005, via Don Milani, fossa 21: la fossa, poco profonda è riempita con due modalità: il settore nord con anfore verticali, capovolte, prive del puntale e del collo, riempite con ghiaia mista a sabbia, quello a sud con anfore vuote, coricate. La fossa è ricoperta da limo sabbioso e molta ghiaia per ottenere un substrato permeabile, così da smaltire le acque superficiali e permettere l’abbassamento della falda idrica.

Scavo 2009, via Don Milani, fossa 56: le anfore sono sovrapposte su due livelli, quello superiore con anfore capovolte, segate all’altezza del puntale, riempite internamente; quello inferiore con anfore integre, vuote, capovolte fino a intercettare il livello della falda. Il loro impiego garantiva un’efficace interruzione della risalita della falda e un adeguato sistema di aerazione.
Bonifica geotecnica

Scavo 2009, via Don Milani, fossa 13/19: le anfore frammentarie risultano ammassate caoticamente in una fossa poco profonda, insieme a frammenti di laterizi e ceramici, e coperte da sedimenti compatti a bassa permeabilità al fine di consolidare il terreno formando una sorta di sottofondazione.
– Re-used Amphorae: Land Reclamation
Amphorae were re-used by the Romans in building and reclamation works. Based on the geological structure of the ground and its intended use – construction of a building, a road, etc. – the most suitable amphorae were chosen and used, either whole or in pieces and placed horizontally or vertically upside-down in single rows or one on top of the other.
The excavations in the southern and eastern zones of Lodi Vecchio show extensive areas which were reclaimed to obtain a suitable hydro-geological level.